Sociologa

Mi sono laureata in Sociologia con una tesi incentrata sul “Soggetto Donna”

ABSTRACT

Il mio lavoro nasce con l’intento di far luce sui luoghi e sui modi attraverso i quali, ancora oggi, il dominio maschile agisce, grazie alla sua mano invisibile, come forma più importante di violenza simbolica.

Innanzitutto analizzeremo il percorso della donna che da oggetto passivo diviene soggetto attivo nel mondo. Partiremo, quindi, da Simone de Beauvoir e dai concetti di immanenza e trascendenza. Si cercherà di capire dove e come ha avuto origine la passività della donna e in che modo è divenuta l’”Altro” dell’uomo. Attraverso Pierre Bourdieu vedremo come le donne, vittime inconsapevoli della doxa, addirittura collaborano attivamente alla propria sottomissione, non avendo altra cultura di riferimento se non quella dei dominanti. La prima parte si concluderà con Alain Touraine che, invece, vede la donna come “il soggetto” per eccellenza e fautrice di una nuova cultura, né femminea né mascolina, al di là del dualismo maschio/femmina (punto di forza del dominio maschile) e in cui le donne, appunto, non si definiscono più in relazione agli uomini, ma attraverso un rapporto creativo con sé stesse.

La cultura dominante androcentrica cerca di resistere a questi cambiamenti in atto e trova nel linguaggio il mezzo ideale per perpetuare i fondamenti del dominio maschile.

La seconda parte tratterà, quindi, in maniera approfondita il linguaggio. Gli autori che prenderemo in analisi sono riusciti e svelare il potere sessista e discriminatorio che si nasconde dietro parole, titoli, frasi e discorsi apparentemente innocui.

Capiremo che la nostra è una lingua “a misura d’uomo” e anche una “lingua del disprezzo”. Per “uomo” intendiamo il rappresentante di quell’umanità che in certi momenti comprende e in certi momenti esclude le donne. L’utilizzo dei termini “uomo” – “uomini” e dei nomi maschili con valore generico o dei titoli al maschile, oscura la presenza della donna in tutti i settori della vita, da quello giuridico a quello politico, da quello sociale a quello culturale, soprattutto oggi, nel momento della loro maggiore ascesa. Ciò che risulta grave, però, è che molto spesso le donne pare non se ne rendano conto, continuando ad essere complici attive della loro dominazione. Si fa sempre lo stesso errore, ovvero, si cerca di somigliare quanto più possibile al modello “uomo”, anziché battersi per una sana cultura della differenza. Per “lingua del disprezzo” si intende, invece, l’assunto per cui il lessico ci rimanda un universo in cui la donna è sempre e comunque ricondotta alla sfera della sessualità, in quanto madre e riproduttrice ed in quanto oggetto del desiderio maschile, che ne stabilisce valore e desiderabilità. La donna, quindi, può prodigarsi esclusivamente in questi due ruoli: quello di “madre” e/o quello di “puttana”.

Studiosi come Alma Sabatini, Patrizia Violi, Giulio Lepschy, Marina Yaguello, hanno contribuito in maniera importante a sollevare le coscienze su una questione che neppure per il femminismo era tale da prendere in considerazione, ma che invece è imprescindibile laddove le donne vogliano realmente e finalmente smetterla di essere l’”Altro”.

Nella terza e ultima parte svilupperò una personale indagine sul linguaggio di genere attraverso il quotidiano “La Stampa”. Prenderò in esame 4 periodi, dal 1952 al 2011, partendo dalla mia ipotesi secondo la quale tutte le forme del linguaggio sessista e discriminatorio sono andate aumentando nel tempo in funzione direttamente proporzionale all’ascesa delle donne nella vita politica, sociale, culturale, ecc. Insomma, io credo che quanto più le donne riescano a liberarsi del dominio maschile e a realizzarsi come soggetti, nei fatti, soprattutto nella professione, tanto più questa mano invisibile troverà nel linguaggio un mezzo per continuare ad esistere e a condizionare l’esistenza femminile. Più il mondo sarà delle donne, per dirla alla Touraine, più il linguaggio sarà mascolino. I risultati della ricerca confermeranno la mia ipotesi di partenza.

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